Dicono di Lui...


LA VITA E’ UNO SGUARDO
Maestro della tradizione figurativa e dell’iperrealismo, sorprende per dar volto e respiro lirico agli aspetti della natura, per la ricerca minuziosa delle atmosfere e del colore, e per il messaggio caro ai valori perenni della vita. Orgogliosamente autodidatta e autocritico al punto che la pittura di natura, ha avuto il coraggio di intraprendere, al mutuo di scambio, tra “l’anima del paesaggio e il paesaggio dell’anima”, Paolo da Fermignano, con un imperativo privilegiato della sua pittura arcadica e agreste. Il teme del lavoro, degli animali domestici, della vita dei campi, un tepore bigio della masseria, del raccolto agreste portato all’interno di questi paesaggi-aie, che paiono degli interni intessuti ad arazzo di filo d’oro, tanto sono teneri e crepuscolari, che citando Plinio, le statue spendenti d’oro non suscitano in noi maggior venerazione che i boschi sacri, gli alberi affascinanti, e il loro silenzio, benchè sulla terra del continente misterioso che è la natura “immaginata”, Paolo è sensibile alle suggestione del colore, con attaccamento alla tavolozza e ai pannelli. Paesaggi, vedutismo e nature morte marchigiane di gusto postmacchiaiolo, con naturalismo dell’”impressionsoleil” e soprattutto come si conviene ad un artista marchigiano, con un’imperativa preoccupazione luministica, come le sue valli Metauro-Montefeltro, stupefatte come lui, che liricamente enfatizza la sua realtà del luoghi, per portare in primo piano la commozione del “primo sguardo”, sfarzosa fusione d’identità e indimenticabile e immedicabile transfert di sensazioni giocate sul simbolismo degli elementi spirituali. La sorprendente mostra “Dal seme…al pane”, ospitata a Roma, nella prestigiosa Sala della Lupa, al Circolo Ufficiali di Palazzo Barberini, prima di tornare alla base naturale di Fermignano, di fronte alla splendida Urbino Ducale, dimostra che la sua ricchezza è la fantasia, ampliando l’interesse per la luce verso una formula della tradizione, lontana anni-luce dalla moderna entropia astrattista. Nello stesso paesaggio urbinate che egli trova il coraggio per esprimere quanto aveva lungamente nascosto nei giardini interiori della memoria: sopra i quadri appesi a i muri e sul cavalletto, in cui i ricordi sono distesi nelle loro cornici. Paesaggi dell’anima e paesaggi dipinti, innanzi tutto con l’occhio interiore, con il senso maturo della composizione, e nel crogiolo della sperimentazione di una rappresentazione evocativa, simbologia dell’esistenza, finalmente libera degli obblighi della cultura urbana, sui territori agresti della felicità . Quella di Fraternali non è un rifiuto di vivere nel collettivo sociale, è la vittoria di un artista sull’innocenza ritrovata ni valori perenni, nelle segrete stanze della necessità interiore, fedele al linguaggio colorato, semplicemente, innocente en plein air, con il fascino agreste del primitivismo che è in lui: visione, simbolismo, profumo della terra. Artista versatile, erede di una famiglia di agricoltori avvezzi al duro sacrificio del lavoro dei campi, conserva ancora questo senso tattile del dolce paese agreste, quasi un canto carducciano, Fraternali sviluppa da tempo, nelle sue opere, l’amore vissuto per la terra, l’excursus dialogico del “pur ti riveggio e il cuore mi balza intanto…” e si snoda nell’abbandono lirico della vita semplice, serenamente antica, caratterizzata dal lavoro dei campi, del fiore reciso, nell’accennare per vivide linee di colore le impressioni colte nell’orizzonte, vecchie macchine agricole, nascono allora i riflessi, le senzazioni indistinte, le immagini quasi indefinite che cosi bene parlano alla fantasia di chi guarda.

Alfredo Pasolino
(Critico Internazionale e storico dell’arte)


Sarà per la loro proverbiale ritrosia, sarà per una secolare propensione all’isolamento , di sicuro le Marche e i marchigiani non sono mai stati al centro delle attenzioni dei commentatori, dei critici e, più generalmente, dei mass media. E quando qualcuno ha rivolto il suo sguardo verso questa terra verde orlata di blu ha avuto sempre un atteggiamento più critico che compiacente. Eppure questa è terra di uomini sommi che hanno illuminato il mondo. E’ regione di individui eccellenti, oltre che dell’eccellenza dell’individuo. Gente più portata a fare che ad apparire.

Resta però un certo imbarazzo nello smentire questi luoghi comuni che esprimono la marginalizzazione del “fare arte” in provincia. La personale a Roma, al Circolo Ufficiali delle Forza Armate d’Italia, a Palazzo Barberini, nei Saloni d’Onore della Lupa, fine 2001, è stata un grande successo di autorità, critici, esperti, mezzi di comunicazione radiotelevisivi, giornalisti e visitatori. Per l’inaugurazione sono arrivati numerosi messaggi e complimenti dalle massime autorità fra le quali dal Presidente della Repubblica Ciampi, dal Presidente del Consiglio Berlusconi, dal Presidente della Camera Casini, dal Governatore della Banca d’Italia Fazio e dalla Segreteria dello Stato Vaticano. La mostra è stata Patrocinata: dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, dalle Regioni Lazio e Marche, dalle Provincie di Roma e Pesaro-Urbino, dai Comuni di Roma, Urbino e Fermignano. Ciò è il segno che molto è cambiato e altro sta cambiando ancora.

Sarà pure un luogo comune, ma ancora oggi (nonostante tanti passi avanti) resta una qualche marginalizzazione del “fare arte” in provincia. Ma l’artista, il poeta o lo scrittore hanno un destino ulteriore rispetto ai comuni mortali, cioè quello segnato dalla loro arte. E’ un segno che viene dal profondo dell’anima o dalla forza del sentimento, supera le barriere del tempo e le differenza dell’uomo.

Paolo da Fermignano, è un po’, l’emblema di questo recupero di attenzione anche nel campo della creatività. Lui è schiavo, riservato, non ama mettersi in mostra, ma la sua pittura sta conquistando apprezzamenti e consensi oltre i confini della sua terra. Come artista ha una storia particolare e anomala. Non è inserito nei circuiti commerciali dell’arte, non fa parte di filoni o correnti, non rincorre mode. La sua è una pittura spontanea che nasce dai ricordi dell’infanzia e da una passione vera e profonda per la terra dove è nato, per la natura, l’ambiente, il paesaggio e la campagna. Le scene agresti che propone al pubblico “sgorgano” dal suo pennello come l’acqua da una sorgente. Usa una tecnica istintiva e una naturalezza che sorprendono critici ed esperti. I paesaggi e i personaggi che ritrae sono immagini della vita reale che rivive nei ricordi dell’infanzia con un forte senso di umanità e con un alto grado di colore vitale. Paolo da Fermignano restituisce dal di dentro le sue storie di vita quotidiana: quegli atti, quei personaggi non sono illustrazioni, ma i segni di un discorso più profondo che cerca di resuscitare un passato che, di solito, finisce sotto silenzio perché considerato non degno.

Per lui il quadro è molto più di uno strumento espressivo e di comunicazione. E’ un pezzo di se stesso, della sua vita, delle sue emozioni e, in parte, anche del suo senso di religiosità e del suo amore per gli altri. La pittura è un mezzo per esprimere gioia di vivere, per ringraziare Dio che, attraverso la generosità della terra, consente all’uomo di migliorare la sua condizione.

Ed è forse proprio per questa concezione fortemente cristiana della vita che per sei anni, pressato da problemi esistenziali e da un conflitto interiore, ha smesso di coltivare la sua passione per l’arte. Sono stati anni particolari e difficili. Anni in cui ha lascito spazio all’impegno sociale, alla solidarietà, al profondo senso di umanità e altruismo che segnano ancora oggi il suo modo di agire.

La sua pittura non va vista e valutata secondo gli schemi tradizionali. E’ semplicemente il frutto di una naturalezza istintiva che esce da ogni schema o modulo sintattico.

Un poeta tedesco del settecento, conosciuto con lo pseudonimo di Navalis, in un suo famoso libro (“Frammenti”), afferma che il pitture dipinge servendosi soprattutto degli occhi e che la forza della sua arte è nel vedere in modo piacevole quello che ritrae. E’ un po’ la concezione cristiana alla quale si rifà anche Paolo da Fermignano: Dio, essere perfetto, ha creato un mondo armonico. Quindi il pittore deve ritrarlo così come è stato creato. Arte – secondo questa concezione filosofica – è anima, poesia, sentimento profondo della bellezza e perfino forza morale.

Paolo propone i paesaggi delle Marche e del Montefeltro (dove è nato e risiede nei dintorni di Urbino): terre pettinate sui dorsi delle colline, alberi e strade disegnate da una mano bambina, manciate di casolari seminati come meteore nell’universo contadino.

Un indimenticato momento fatato in questo paesaggio era il periodo della neve che ancora oggi costituisce un altro significativo passaggio della capacità creativa di Paolo da Fermignano. Era una delle tante grazie di questo paesaggio dei miracoli: la vita si bloccava, le strade diventavano impercorribili, mancava la luce elettrica, i mucchi di neve restavano per giorni lungo le strade e accanto alle case. Si tornava di colpo al passato. Erano giorni sospesi fra il fascino di un evento magico, il gusto della riservatezza e il piacere di starsene rintanati in casa.

Paolo da Fermignano, forse, sarà pure un utopista e un sognatore. A volte si ha la sensazione che la sua fanciullesca identità non sia frutto della meditazione e del sentimento, ma sia quasi suggerita dall’aria stessa dei luoghi che dipinge, come se quella terra e quei personaggi, non volendo inaridire, cerchino qualcuno più tenero di loro o più forte di volontà, a cui affidare la propria conservazione. Paolo da Fermignano si sente in qualche modo il custode, il conservatore, il difensore di quei luoghi, di quelle usanze, di quelle abitudini, di quelle tradizioni, sovrastate e accantonate dal tempo, dall’uomo e da quella macchina inesorabile che chiamiamo progresso.

Paolo da Fermignano è un po’ come Ulisse, un uomo vagante fra i ricordi della sua terra e della sua fanciullezza alla ricerca della sua Itaca, della sua serenità interiore.

Gianni Rossetti
(Giornalista RAI)


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